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La ragazza fuori dal tempo

 

Il ripasso massiccio delle tavole a fumetti mi costringe da giorni a concentrarmi solo sul tratto, sul segno. È una fase a volte un po’ monotona, in cui la mente ha maggiori possibilità di vagare, rispetto a quando si disegna la bozza a matita. E così mi è venuta in mente una cosa che coi miei fumetti non c’entra nulla, ma col disegno sì, eccome. E cioè questa tavola, da alcuni attribuita a Piero del Pollaiolo, da altri a suo fratello Antonio, che delle quattro dipinte dai due fratelli e che hanno come soggetto altrettanti ritratti muliebri è quella che mi piace in modo smodato.

Si tratta di un tipico ritratto del Quattrocento fiorentino, quando i membri delle famiglie più potenti amavano farsi raffigurare di profilo, come nelle medaglie celebrative e alla maniera degli antichi, con indosso i vestiti più prestigiosi secondo la moda del tempo, e adornati di gioielli e simboli del ceto di appartenenza. Ma queste son cose che si possono trovare in qualsiasi manuale e bla bla bla.

Quello che di quest’opera mi piace tanto è l’effetto, più intimo e segreto, prodotto dal contrasto fortissimo che emerge fra il disegno, appunto, e l’aria di questa giovane dama. Si tratta di un disegno sicuro, chirurgico, nettissimo, e soprattutto tipico: nella Firenze del Quattrocento è l’architrave su cui poggia tutta la pittura. C’è poi la complessa acconciatura, che con veli, nastri e fili di perle raccoglie i capelli nella foggia chiamata “a vespaio”; il tutto entro una costruzione geometrica studiatissima data da tre linee parallele: quella del diadema che scende verso la fronte, quella della collanina che separa il collo dalle spalle, e quella della della scollatura. Tutto ciò concorre a costruire una gabbia molto solida che blocca la figura della giovane dama perché assomigli a un’imperatrice romana, perché dimostri il rigore che le è richiesto.

E poi c’è lei, con la mandibola un filo ritratta e quel labbro superiore sporgente, che invece con lo sguardo evade da quella prigione. La guardo e vedo una ragazzina, a cui è stato chiesto di mettersi così, in quella posa lì, e di stare fermina e zittina perché c’è da fare questa cosa importante per la famiglia, ma a lei invece le importa una sega, com’è evidente osservando quell’iride che non punta davanti a sé, ma un po’ più in alto, quel sopracciglio un po’ alzato e la palpebra che tradisce un tedio contenuto. Forse un sospiro d’impazienza che non può emettere sennò sai poi che palle le fanno. Si è prestata al gioco perché alla fine l’idea magari le piace pure, ma si sta annoiando a morte e l’unico modo che ha di sottrarsi a quella specie di tortura è quello di volare via, chissà dove, chissà con chi.

Ecco, cogliere quella roba lì è cosa veramente rara. Rarissima.

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